Versione integrale della visita del Santo Padre a Venezia
3 pensieri su “Il Papa a Venezia!”
Lucio Malfi
Il Papa in carcere
Dopo i due pensieri dal semiserio al frivolo sulla visita del Papa a Venezia, ai quali sono stato indotto dall’irritante paranoia protettiva degli organizzatori, mi pare valga la pena spendere alcune parole, più meditate e costruttive, su quanto Papa Francesco ha voluto dirci, con le parole e i gesti, nelle poche ore passate tra noi. Anche per sottolineare l’abissale distanza tra la formula organizzativa (antievangelica e satanica) e i fondamentali contenuti profondamente cristiani che la visita ci ha lasciato in dono.
Personalmente sono stato vivamente colpito soprattutto dalla visita al carcere femminile per i molti spunti di riflessione che il gesto in sé e quanto detto dal Papa alle detenute, suggeriscono.
Incominciamo con il gesto. Con l’aver voluto iniziare la giornata con uno dei comportamenti dei “giusti” ricordato nel Vangelo di Matteo, “ ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt 25, 36), Francesco non solo ha attualizzato questo comportamento, ma ha reso visivamente concreto anche l’altro detto di Gesù, riportato sempre da Matteo, che “gli ultimi saranno primi” (Mt 20, 16). Nella concezione perbenista mondana, il carcere è un luogo di emarginazione nel quale relegare coloro che hanno commesso una qualche violazione delle norme costituite e che meritano quindi di essere temporaneamente allontanati da quella società che quelle norme si è data. Un luogo di espiazione per individui che con le loro colpe si sono collocati nei gradini più bassi della scala sociale: gli “ultimi” del Vangelo che, nell’inversa gerarchia cristiana, meritano invece il primo posto.
Papa Francesco è entrato in carcere con l’umiltà di chi si domanda “perché loro sono qui e io no?”. Una domanda che dovremmo farci più spesso perché tutti possiamo commettere degli errori e trovarci in una situazione di illegalità, magari inconsapevolmente. Chi ha avuto posizioni di responsabilità organizzative o amministrative sa bene che il rischio di violare, anche in modo del tutto inconsapevole, una delle miriadi di norme, regolamenti, disposizioni e prescrizioni è sempre presente, per cui si trova in una permanente situazione libertà provvisoria. Il confine tra l’illegalità e la perfetta legalità è spesso molto labile e basta un nulla per superarlo. Con questa umana consapevolezza, non ci è concesso nessun giudizio, nessuna condanna, nessuna altezzosa superiorità perché, come ha esordito il Papa nel suo discorso alle detenute, “tutti siamo fratelli, tutti, e nessuno può rinnegare l’altro, nessuno!”.
Il discorso è poi continuato toccando livelli di commovente umanità, come quando ha affermato di “aver desiderato di incontrarvi, all’inizio della mia visita a Venezia, per dirvi che avete un posto speciale nel mio cuore”. Ancora una volta, una lezione di gerarchia evangelica!
Sempre nel solco di una sostanziale solidarietà umana è emerso anche il desiderio di infondere speranza, che è virtù teologale cristiana, in un luogo che “è una realtà dura” e vi è “tanta sofferenza”, ma che “può anche diventare un luogo di rinascita...in cui la dignità di donne e uomini non è “messa in isolamento”, ma promossa attraverso il rispetto reciproco...”, per cui “paradossalmente, la permanenza in una casa di reclusione può segnare l’inizio di qualcosa di nuovo”. Qualcosa che può iniziare da subito perché “oggi è il momento adatto, oggi, oggi è il momento giusto, oggi (cfr. 2Cor 6,2), oggi ricomincio, sempre per tutta la vita!”. Quindi l’ efficace immagine finale della “speranza come un’ancora, sai, che è ancorata nel futuro, e noi abbiamo nelle mani la corda e andiamo avanti con la corda ancorata nel futuro”.
Un altro tema che è emerso più volte nel breve discorso del Papa è stato quello della dignità della persona umana, sintetizzabile in alcune affermazioni categoriche quasi in forma di supplica: “Nessuno toglie la dignità di una persona, nessuno!”; “Per favore,... non isolare la dignità ma dare nuove possibilità!”. Richiamare con forza questo tema in un luogo dove, come purtroppo raccontano le cronache, talvolta non solo la dignità, ma anche la fisicità è violata, è stato un atto di coraggio profetico.
Infine, per completare il quadro, desidero ricordare l’umile comportamento di don Antonio, seduto anonimamente tra le detenute, quando il suo ruolo di cappellano gli avrebbe potuto consentire un po’ più di rilievo.
In definitiva, la visita di Papa Francesco al carcere della Giudecca è stata una stupenda pagina di Vangelo celebrato, vissuto e testimoniato.
Ore 12.45 circa di domenica 28 aprile. Il Papa è già ritornato nel carcere femminile della Giudecca e probabilmente sta decollando per tornare a Roma. Dunque è tutto finito. I cecchini appostati sui tetti possono sgranchirsi le dite rattrappite sui grilletti, i sommozzatori emergere dalle acque della laguna e respirare l’aria pura anziché quella delle bombole, il primario di medicina dell’ospedale civile tornare a casa dopo esser stato precettato per 24 ore, e occupare i due posti lasciati liberi (di cui uno in terapia intensiva) per motivi precauzionali. A quanto pare non è successo nulla: neppure un banale malore tra le oltre 10.000 persone (ma sarà una stima attendibile degli entusiasti cronisti?) tenute prigioniere in piazza per oltre 4 ore e che adesso possono finalmente essere liberate e correre alla ricerca di un agognato servizio. Perchè gli zelantissimi organizzatori dell’ordine pubblico, così puntigliosi nel premunirsi da qualsivoglia eventuale evento esterno avverso, hanno del tutto trascurato gli eventi fisiologici certi e bellamente ignorato la normativa europea EN 16194 che prescrive che per eventi aperti al pubblico che durano fino al massimo di 6 ore, debbano essere disponibili non meno di 125 bagni (suddivisi al 50% tra i due sessi), quando i potenziali utilizzatori sono compresi tra 10.000 e 12.499. Ebbene in piazza S. Marco non ce n’era nemmeno uno e nei dintorni la bellezza di due! Ma a quanto pare la notevole capacità di “tener duro” dei veneziani ha dato loro ragione, anche se non conosceremo mai due dati pertinenti: quello di coloro che se la sono fatta addosso e quello di chi, prudentemente, ha indossato il pannolone.
Il questore e il capo della gendarmeria vaticana possono emettere un sospiro di sollievo; anche per questa volta la loro carriera è salva!
Forse con un po’ di presunzione penso di potermi annoverare, nei sondaggi sulla partecipazione religiosa, tra coloro che vengono classificati come “assidui”. Dico questo per dare la giusta collocazione alla mia decisione di non andare in piazza S. Marco domenica 28 aprile per la visita del Papa. Una decisione che deriva da due motivi tra loro strettamente collegati.
Il primo motivo lo potrei definire di natura ideologica. Infatti è una forma di protesta per le modalità antievangeliche e sataniche con le quali è stata organizzata la visita del Papa a Venezia. Spiego i due aggettivi utilizzati. I Vangeli di Matteo e di Luca sono concordi nel riferire che Gesù invia nel mondo i suoi discepoli “come agnelli (o pecore) in mezzo ai lupi”, cioè inermi, indifesi, senza alcuna protezione. Il Papa viene tra i “lupi” a Venezia protetto da un mastodontico apparato di uomini armati fino ai denti, dunque con modalità opposte a quelle descritte nei Vangeli.
Nei Vangeli di Marco e di Matteo si racconta che dopo il primo annuncio della passione Pietro vi si oppone e Gesù lo rimprovera definendolo “Satana”, perché non avendo “il senso delle cose di Dio, ma di quelle degli uomini”, ostacola il disegno del Padre. Per un cristiano, dunque anche per un Papa, morire martire per la fede dovrebbe essere la massima aspirazione e se sono questi gli imperscrutabili disegni di Dio, pensare che una potenza umana li possa scompaginare è satanica follia. La gendarmeria vaticana e le forze dell’ordine italiane con la loro paranoia protettiva, si comportano come Pietro e dunque meritano lo stesso giudizio.
Il secondo motivo è di natura pratica e riguarda l’enorme disagio, imposto dalla paranoia di cui sopra, a coloro che andranno in piazza, costretti a stare almeno quattro ore sotto il sole o sotto la pioggia, probabilmente con enormi difficoltà per accedere ai servizi igienici, magari per trovarsi a qualche centinaio di metri dall’altare e dover ricorrere al cannocchiale per vedere qualcosa. Perchè è certo che nelle prime fila vi saranno le cosiddette autorità (che per l’occasione spunteranno come i funghi, malgrado molti di loro siano dei noti “atei devoti”), poi i sacerdoti (chiamati in gran numero a essere presenti per la discutibilissima decisione di sospendere tutte le messe del mattino), quindi gli ordini religiosi, e, soltanto dopo, l’anonimo popolo di Dio. Molto più comodo stare in poltrona davanti alla tv.
Lucio Malfi
Il Papa in carcere
Dopo i due pensieri dal semiserio al frivolo sulla visita del Papa a Venezia, ai quali sono stato indotto dall’irritante paranoia protettiva degli organizzatori, mi pare valga la pena spendere alcune parole, più meditate e costruttive, su quanto Papa Francesco ha voluto dirci, con le parole e i gesti, nelle poche ore passate tra noi. Anche per sottolineare l’abissale distanza tra la formula organizzativa (antievangelica e satanica) e i fondamentali contenuti profondamente cristiani che la visita ci ha lasciato in dono.
Personalmente sono stato vivamente colpito soprattutto dalla visita al carcere femminile per i molti spunti di riflessione che il gesto in sé e quanto detto dal Papa alle detenute, suggeriscono.
Incominciamo con il gesto. Con l’aver voluto iniziare la giornata con uno dei comportamenti dei “giusti” ricordato nel Vangelo di Matteo, “ ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt 25, 36), Francesco non solo ha attualizzato questo comportamento, ma ha reso visivamente concreto anche l’altro detto di Gesù, riportato sempre da Matteo, che “gli ultimi saranno primi” (Mt 20, 16). Nella concezione perbenista mondana, il carcere è un luogo di emarginazione nel quale relegare coloro che hanno commesso una qualche violazione delle norme costituite e che meritano quindi di essere temporaneamente allontanati da quella società che quelle norme si è data. Un luogo di espiazione per individui che con le loro colpe si sono collocati nei gradini più bassi della scala sociale: gli “ultimi” del Vangelo che, nell’inversa gerarchia cristiana, meritano invece il primo posto.
Papa Francesco è entrato in carcere con l’umiltà di chi si domanda “perché loro sono qui e io no?”. Una domanda che dovremmo farci più spesso perché tutti possiamo commettere degli errori e trovarci in una situazione di illegalità, magari inconsapevolmente. Chi ha avuto posizioni di responsabilità organizzative o amministrative sa bene che il rischio di violare, anche in modo del tutto inconsapevole, una delle miriadi di norme, regolamenti, disposizioni e prescrizioni è sempre presente, per cui si trova in una permanente situazione libertà provvisoria. Il confine tra l’illegalità e la perfetta legalità è spesso molto labile e basta un nulla per superarlo. Con questa umana consapevolezza, non ci è concesso nessun giudizio, nessuna condanna, nessuna altezzosa superiorità perché, come ha esordito il Papa nel suo discorso alle detenute, “tutti siamo fratelli, tutti, e nessuno può rinnegare l’altro, nessuno!”.
Il discorso è poi continuato toccando livelli di commovente umanità, come quando ha affermato di “aver desiderato di incontrarvi, all’inizio della mia visita a Venezia, per dirvi che avete un posto speciale nel mio cuore”. Ancora una volta, una lezione di gerarchia evangelica!
Sempre nel solco di una sostanziale solidarietà umana è emerso anche il desiderio di infondere speranza, che è virtù teologale cristiana, in un luogo che “è una realtà dura” e vi è “tanta sofferenza”, ma che “può anche diventare un luogo di rinascita...in cui la dignità di donne e uomini non è “messa in isolamento”, ma promossa attraverso il rispetto reciproco...”, per cui “paradossalmente, la permanenza in una casa di reclusione può segnare l’inizio di qualcosa di nuovo”. Qualcosa che può iniziare da subito perché “oggi è il momento adatto, oggi, oggi è il momento giusto, oggi (cfr. 2Cor 6,2), oggi ricomincio, sempre per tutta la vita!”. Quindi l’ efficace immagine finale della “speranza come un’ancora, sai, che è ancorata nel futuro, e noi abbiamo nelle mani la corda e andiamo avanti con la corda ancorata nel futuro”.
Un altro tema che è emerso più volte nel breve discorso del Papa è stato quello della dignità della persona umana, sintetizzabile in alcune affermazioni categoriche quasi in forma di supplica: “Nessuno toglie la dignità di una persona, nessuno!”; “Per favore,... non isolare la dignità ma dare nuove possibilità!”. Richiamare con forza questo tema in un luogo dove, come purtroppo raccontano le cronache, talvolta non solo la dignità, ma anche la fisicità è violata, è stato un atto di coraggio profetico.
Infine, per completare il quadro, desidero ricordare l’umile comportamento di don Antonio, seduto anonimamente tra le detenute, quando il suo ruolo di cappellano gli avrebbe potuto consentire un po’ più di rilievo.
In definitiva, la visita di Papa Francesco al carcere della Giudecca è stata una stupenda pagina di Vangelo celebrato, vissuto e testimoniato.
Ore 12.45 circa di domenica 28 aprile. Il Papa è già ritornato nel carcere femminile della Giudecca e probabilmente sta decollando per tornare a Roma. Dunque è tutto finito. I cecchini appostati sui tetti possono sgranchirsi le dite rattrappite sui grilletti, i sommozzatori emergere dalle acque della laguna e respirare l’aria pura anziché quella delle bombole, il primario di medicina dell’ospedale civile tornare a casa dopo esser stato precettato per 24 ore, e occupare i due posti lasciati liberi (di cui uno in terapia intensiva) per motivi precauzionali. A quanto pare non è successo nulla: neppure un banale malore tra le oltre 10.000 persone (ma sarà una stima attendibile degli entusiasti cronisti?) tenute prigioniere in piazza per oltre 4 ore e che adesso possono finalmente essere liberate e correre alla ricerca di un agognato servizio. Perchè gli zelantissimi organizzatori dell’ordine pubblico, così puntigliosi nel premunirsi da qualsivoglia eventuale evento esterno avverso, hanno del tutto trascurato gli eventi fisiologici certi e bellamente ignorato la normativa europea EN 16194 che prescrive che per eventi aperti al pubblico che durano fino al massimo di 6 ore, debbano essere disponibili non meno di 125 bagni (suddivisi al 50% tra i due sessi), quando i potenziali utilizzatori sono compresi tra 10.000 e 12.499. Ebbene in piazza S. Marco non ce n’era nemmeno uno e nei dintorni la bellezza di due! Ma a quanto pare la notevole capacità di “tener duro” dei veneziani ha dato loro ragione, anche se non conosceremo mai due dati pertinenti: quello di coloro che se la sono fatta addosso e quello di chi, prudentemente, ha indossato il pannolone.
Il questore e il capo della gendarmeria vaticana possono emettere un sospiro di sollievo; anche per questa volta la loro carriera è salva!
Il Papa a Venezia
Forse con un po’ di presunzione penso di potermi annoverare, nei sondaggi sulla partecipazione religiosa, tra coloro che vengono classificati come “assidui”. Dico questo per dare la giusta collocazione alla mia decisione di non andare in piazza S. Marco domenica 28 aprile per la visita del Papa. Una decisione che deriva da due motivi tra loro strettamente collegati.
Il primo motivo lo potrei definire di natura ideologica. Infatti è una forma di protesta per le modalità antievangeliche e sataniche con le quali è stata organizzata la visita del Papa a Venezia. Spiego i due aggettivi utilizzati. I Vangeli di Matteo e di Luca sono concordi nel riferire che Gesù invia nel mondo i suoi discepoli “come agnelli (o pecore) in mezzo ai lupi”, cioè inermi, indifesi, senza alcuna protezione. Il Papa viene tra i “lupi” a Venezia protetto da un mastodontico apparato di uomini armati fino ai denti, dunque con modalità opposte a quelle descritte nei Vangeli.
Nei Vangeli di Marco e di Matteo si racconta che dopo il primo annuncio della passione Pietro vi si oppone e Gesù lo rimprovera definendolo “Satana”, perché non avendo “il senso delle cose di Dio, ma di quelle degli uomini”, ostacola il disegno del Padre. Per un cristiano, dunque anche per un Papa, morire martire per la fede dovrebbe essere la massima aspirazione e se sono questi gli imperscrutabili disegni di Dio, pensare che una potenza umana li possa scompaginare è satanica follia. La gendarmeria vaticana e le forze dell’ordine italiane con la loro paranoia protettiva, si comportano come Pietro e dunque meritano lo stesso giudizio.
Il secondo motivo è di natura pratica e riguarda l’enorme disagio, imposto dalla paranoia di cui sopra, a coloro che andranno in piazza, costretti a stare almeno quattro ore sotto il sole o sotto la pioggia, probabilmente con enormi difficoltà per accedere ai servizi igienici, magari per trovarsi a qualche centinaio di metri dall’altare e dover ricorrere al cannocchiale per vedere qualcosa. Perchè è certo che nelle prime fila vi saranno le cosiddette autorità (che per l’occasione spunteranno come i funghi, malgrado molti di loro siano dei noti “atei devoti”), poi i sacerdoti (chiamati in gran numero a essere presenti per la discutibilissima decisione di sospendere tutte le messe del mattino), quindi gli ordini religiosi, e, soltanto dopo, l’anonimo popolo di Dio. Molto più comodo stare in poltrona davanti alla tv.
Lucio Malfi