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3 pensieri su “Domanda & Risposta”
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Il Papa a Venezia
Forse con un po’ di presunzione penso di potermi annoverare, nei sondaggi sulla partecipazione religiosa, tra coloro che vengono classificati come “assidui”. Dico questo per dare la giusta collocazione alla mia decisione di non andare in piazza S. Marco domenica 28 aprile per la visita del Papa. Una decisione che deriva da due motivi tra loro strettamente collegati.
Il primo motivo lo potrei definire di natura ideologica. Infatti è una forma di protesta per le modalità antievangeliche e sataniche con le quali è stata organizzata la visita del Papa a Venezia. Spiego i due aggettivi utilizzati. I Vangeli di Matteo e di Luca sono concordi nel riferire che Gesù invia nel mondo i suoi discepoli “come agnelli (o pecore) in mezzo ai lupi”, cioè inermi, indifesi, senza alcuna protezione. Il Papa viene tra i “lupi” a Venezia protetto da un mastodontico apparato di uomini armati fino ai denti, dunque con modalità opposte a quelle descritte nei Vangeli.
Nei Vangeli di Marco e di Matteo si racconta che dopo il primo annuncio della passione Pietro vi si oppone e Gesù lo rimprovera definendolo “Satana”, perché non avendo “il senso delle cose di Dio, ma di quelle degli uomini”, ostacola il disegno del Padre. Per un cristiano, dunque anche per un Papa, morire martire per la fede dovrebbe essere la massima aspirazione e se sono questi gli imperscrutabili disegni di Dio, pensare che una potenza umana li possa scompaginare è satanica follia. La gendarmeria vaticana e le forze dell’ordine italiane con la loro paranoia protettiva, si comportano come Pietro e dunque meritano lo stesso giudizio.
Il secondo motivo è di natura pratica e riguarda l’enorme disagio, imposto dalla paranoia di cui sopra, a coloro che andranno in piazza, costretti a stare almeno quattro ore sotto il sole o sotto la pioggia, probabilmente con enormi difficoltà per accedere ai servizi igienici, magari per trovarsi a qualche centinaio di metri dall’altare e dover ricorrere al cannocchiale per vedere qualcosa. Perchè è certo che nelle prime fila vi saranno le cosiddette autorità (che per l’occasione spunteranno come i funghi, malgrado molti di loro siano dei noti “atei devoti”), poi i sacerdoti (chiamati in gran numero a essere presenti per la discutibilissima decisione di sospendere tutte le messe del mattino), quindi gli ordini religiosi, e, soltanto dopo, l’anonimo popolo di Dio. Molto più comodo stare in poltrona davanti alla tv.
Siamo nel bel mezzo di una terza ondata della pandemia ritenuta dagli esperti molto più contagiosa delle altre per cui vanno rafforzate le precauzioni. Tra queste, oltre alla mascherina e il distanziamento, c’è anche quella di non permanere a lungo in luoghi chiusi e affollati. Questo è il motivo per cui i cinema, i teatri, i musei, le sale per conferenze e molti altri luoghi sono chiusi. Le chiese sono luoghi chiusi e affollati ma sono aperte, malgrado il rischio di contagio sia relativamente più elevato perché le persone non stanno ferme, parlano e cantano aumentando le modalità di trasmissione del virus. Come spiegare questa palese differenza se non come un privilegio? Ricordando che Gesù non ha riservato ai suoi alcun privilegio, anzi li ha messi in guardia da questo pericolo, mi sarebbe piaciuto che la mia Chiesa avesse mandato al governo la seguente letterina: “Caro governo, ti ringrazio per il privilegio che mi concedi, ma siccome sono una chiesa cattolica e anche cristiana, rinuncio a questo privilegio. E poiché le chiese sono dei luoghi dove il pericolo di contagio è relativamente più elevato ed io ci tengo moltissimo alla salute dei miei fedeli, decido, in piena autonomia, di tenere chiuse le chiese fino a quando rimarranno chiusi tutti gli altri luoghi”. Purtroppo questa letterina non è stata spedita perché, evidentemente, non se ne condivide il contenuto. Anzi, giudicando dai comportamenti, sembra prevalere un orientamento opposto.
A partire dalla quinta domenica di Quaresima abbiamo velato il Crocefisso con un drappo viola per procurare un salutare “digiuno degli occhi”, come lo chiamano i Padri della Chiesa. Dopo esser stati per un po’ di tempo senza poterlo vedere, quando il Venerdì Santo lo scopriremo un po’ alla volta, il Crocefisso ci apparirà in una luce nuova e potremo contemplarlo e adorarlo con intensificato ardore. Perché non approfittare della pandemia per un altrettanto salutare digiuno eucaristico e liturgico?
Stiamo andando verso un periodo in cui la liturgia prevede più lunghe e frequenti permanenze in chiesa ma, a quanto pare, nessuno se ne preoccupa, evidentemente ritenendo di potersi comportare normalmente come se nulla fosse, mentre il virus dilaga. E’ illogico concludere che la salvaguardia dei riti sembra essere più importante della salute dei fedeli?
A dir il vero a S. Giacomo qualche preoccupazione sembra sia sorta, come testimoniano due iniziative. La prima riguarda la limitazione a 50 persone della capienza della chiesa in modo da aumentare il distanziamento. La conseguenza, tuttavia, è quella di aumentare la probabilità di dover mandare a casa qualche persona in più. Siamo poi sicuri che l’aumento del distanziamento sia il più efficace strumento per ridurre il rischio di contagio e non invece una minor diffusione delle famigerate goccioline con un maggior silenzio? Non sarebbe stato più efficace qualche canto in meno e qualche persona in più?
La seconda iniziativa riguarda la trasmissione in streaming delle messe e della liturgia pasquale. Pur intuendo la buona intenzione che la ispira, ritengo si tratti, come ho già spiegato l’anno scorso, di una iniziativa potenzialmente diseducativa. Induce a ritenere che lo streaming possa perfettamente sostituire la presenza, mentre non è affatto così. In streaming si “assiste” alla messa; in presenza si “partecipa”. Dovrebbe pertanto essere chiaro che chi senza gravi e motivati argomenti si astiene dal partecipare alla messa e la sostituisce, per pura pigrizia, con la visione sul pc o alla tv, non assolve il precetto festivo. Questa avvertenza, sia pure con linguaggio felpato e curiale, precede sempre la trasmissione della messa da parte della radio vaticana e andrebbe ripetuta anche nelle nostre trasmissioni. In secondo luogo alimenta la cosiddetta “sindrome da riserva indiana”, cioè l’idea di essere soli e quindi di doverci procurare in proprio i riti necessari. Facciamo invece parte di una Chiesa più ampia che è quella diocesana e di una ancora più ampia che è la Chiesa universale. Entrambe hanno le nostre stesse esigenze e provvedono a celebrare la nostra stessa liturgia. Perché non riunirci spiritualmente ad esse utilizzando le loro trasmissioni come abbiamo fatto l’anno scorso? Non c’è alcun bisogno di ricorrere a una perniciosa autarchia liturgica mediatica.
Lucio Malfi
La solerzia con la quale alcuni parrocchiani mi domandano se sono stato vaccinato e il loro auspicio di una mia maggiore serenità una volta completata la profilassi anti-covid, mi inducono a pensare che le mie recenti prese di posizione siano state interpretate come il frutto avvelenato di una irrefrenabile paura che in qualche modo mi ha annebbiato il cervello. E’ indubbiamente vero che dal punto di vista anagrafico sono nelle categorie maggiormente a rischio ed è anche possibile che io sia ipocondriaco, ma assicuro che quanto illustrato nel mio intervento del 26 marzo su questo sito è stato solo minimamente influenzato dalla paura del contagio. Per rendersene conto basta considerare che le quattro affermazioni contenute in quello scritto sono del tutto indipendenti dal livello di apprensione sanitaria. Infatti affermavo:
1) tenere le chiese aperte mentre gli altri luoghi analoghi erano chiusi si configurava come un privilegio e come tale andava rifiutato;
2) l’apertura delle chiese malgrado l’imperversare del virus era segno di maggiore preoccupazione per la salvaguardia dei riti piuttosto che dei fedeli;
3) come si è effettuato il digiuno degli occhi, così si poteva fare anche un digiuno liturgico ed eucaristico;
4) la trasmissione in streaming dei riti e in particolare della messa è diseducativo in quanto induce a pensare che non vi sia differenza tra presenza fisica e visione a distanza, oltre ad alimentare la sindrome da “riserva indiana”.
Le affermazioni di cui ai punti 1) e 2) partono da un dato di fatto inoppugnabile: le chiese sono rimaste aperte mentre luoghi analoghi come teatri, cinema, sale da concerto e per conferenze, biblioteche e musei, sono stati chiusi. Come chiamare questa diversità di disposizioni governative se non come un privilegio accordato alla Chiesa cattolica da parte di un governo pavido assetato di consensi? E’ un altrettanto dato di fatto che questo privilegio la Chiesa se l’è tenuto stretto anziché rifiutarlo come avrebbe dovuto fare se avesse ricordato più di qualche pagina dell’Evangelo. Aggiungo che nel caso si ritenesse ingiusta la chiusura degli altri luoghi, una Chiesa veramente cristiana e sensibile al principio di solidarietà umana avrebbe dovuto, a maggior ragione, rifiutare la diversità di trattamento. Invece le chiese sono rimaste tranquillamente aperte dimostrando di ignorare sia la palese diversità di trattamento sia l’imperversare del virus. Come interpretare questo dato di fatto se non come il desiderio di approfittare del privilegio e di preoccuparsi più della salvaguardia dei riti piuttosto che della salute dei fedeli? Quale altra spiegazione logica è possibile per questo inoppugnabile comportamento? Come si vede, non occorre essere attanagliati dalla paura per formulare le affermazioni di cui stiamo parlando.
Quanto alle affermazioni di cui ai punti 3) e 4) si tratta di opinioni palesemente del tutto indipendenti dallo stato d’animo riguardo alla paura del contagio.
Se dunque qualcuno ha ritenuto di non dover dar seguito a quanto da me pubblicato sul sito ritenendolo il semplice sfogo di un povero vecchio impaurito, si ricreda perché non è così. Quello che ho scritto è esattamente quello che penso nel pieno delle mie facoltà mentali e con la più assoluta serenità.
Lucio